LA SFIDA TECNOLOGICA DELLA MODA AI TEMPI DEL COVID-19: ALTERNATIVA, POSSIBILITÀ, INNOVAZIONE
“We Are All In This Together”. Con questo claim Gucci, nella propria campagna di crowdfunding, esprime appieno l’esigenza di creare un gruppo compatto volto a fronteggiare l’emergenza pandemica. Ed è proprio in conseguenza di ciò che esponenti di spicco hanno lanciato campagne per aiutare realtà, soprattutto ospedaliere, mentre altre industrie della moda – e non solo – hanno deciso di rivoluzionare la loro attività. Tra i numerosi esempi nazionali di cui andare fieri, Armani ha convertito tutti i propri stabilimenti produttivi italiani nella creazione di camici monouso per gli operatori sanitari impegnati a combattere l’infezione. Bvlgari, unitamente al partner di fragranze ICR (Industrie Cosmetiche Riunite di Lodi), sta ora producendo flaconi di gel disinfettante per le mani da fornire in via prioritaria a tutte le strutture mediche. Nel contesto internazionale, si può citare Burberry, che ha trasformato la fabbricazione dell’iconico trench in quella di camici e mascherine.
È innegabile, però, che dalla crisi ingenerata dal COVID-19 sono derivati degli effetti nefasti sull’economia mondiale, senza escludere il settore della moda. Il problema, in particolare, è emerso in occasione delle fashion week autunno/inverno 2020/2021, il cui calendario è esattamente coinciso con l’aggravarsi dell’emergenza in Italia e in Europa. Ne è conseguita una doverosa riorganizzazione forzata degli eventi, alcuni dei quali si sono svolti a porte chiuse, mentre altri sono stati posticipati o addirittura annullati.
Tale circostanza ha portato a riflettere su quali modalità alternative possano sostituire attività od eventi che, normalmente, richiedono una presenza fisica, senza subire rovinose perdite economiche. Già da tempo, infatti, all’interno degli showroom di alta moda sono presenti, ad esempio, totem elettronici – alcuni dei quali in versione touch-screen – attraverso cui poter provare virtualmente un abito o realizzare un dato make up. Un chiaro esempio di come l’intervento tecnologico può davvero rivoluzionare il campo della moda.
I VIRTUAL SHOWROOMS E LE NUOVE SFIDE TECNOLOGICHE. QUALI IMPLICAZIONI PRIVACY?
Sempre più diffusi sono i virtual showrooms, dove i compratori possono visualizzare ed ordinare i prodotti da remoto. Attraverso questo meccanismo, infatti, le aziende che si avvalgono delle piattaforme di vendita online analizzano (ed usano) i dati che vengono registrati dagli utenti, con il conseguente vantaggio di ottenere informazioni rilevanti sulla clientela, i suoi gusti e le sue preferenze. Viene così offerto un servizio personalizzato e focalizzato sul singolo consumatore, regalandogli un’esperienza di navigazione unica ed interattiva.
Se detta circostanza aiuta a meglio incentrarsi sul singolo utente, sia a fini di marketing che di produzione, non bisogna dimenticare i risvolti privacy che ne possono derivare. Dai dati dell’utente, invero, potrebbero desumersi una serie di informazioni che rischiano di condurre ad un indesiderato trattamento automatizzato. Pertanto, sarà necessario avvalersi non sono di un’informativa ma anche di una valida cookie policy che elenchi tutti i tipi di cookie utilizzati.
I virtual showrooms costituiscono solo uno dei numerosi esempi di come la tecnologia possa soccorrere agli ingenti danni dovuti al lockdown: meritano, infatti, una citazione anche le ultime sfide tecnologiche rappresentate da quei prodotti in grado di riproporre una partecipazione fisica dell’utente. Oltre agli ologrammi, che permettono di riprodurre immagini di persone o cose a 360 gradi tanto da farle sembrare realmente presenti nell’ambiente, i guanti tattili, già progettati in ambito automobilistico, sono in grado di replicare lo stesso feedback sensoriale che si può avere toccando un indumento e i relativi dettagli, permettendo all’aspirante acquirente di esaminare il prodotto.
Ma è necessaria una riflessione. Proprio per le funzioni cui sono preposti, detti dispositivi rilevano una notevole mole di dati, tra cui anche dati biometrici, definiti dall’art. 4, n. 14, GDPR come «dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano l’identificazione univoca, quali l’immagine facciale o i dati dattiloscopici»: in via esemplificativa, la rappresentazione dell’iride o della retina, il timbro della voce, l’impronta digitale. Poiché questi dati meritano una specifica protezione, ai sensi dell’art. 9 GDPR il loro trattamento è generalmente vietato, salvo tassative eccezioni. Infatti, i dati biometrici, il cui trattamento avviene tramite verifica automatizzata dell’identità, attraverso l’ausilio di appositi strumenti software o hardware, rischiano di essere utilizzati per scopi ulteriori rispetto a quelli per cui sono stati acquisiti. In via esemplificativa, guanti finalizzati a comprendere la texture di un prodotto non necessitano generalmente della rilevazione di impronte digitali dell’utente, avendo il mero scopo di offrire un’esperienza sensoriale al cliente.
In ogni caso, per cautela, l’azienda dovrà fare presente nell’informativa l’eventuale trattamento del dato, ad esempio nel caso in cui il soggetto venga riconosciuto tramite impronta digitale, richiedendone il consenso esplicito ex art. 9, co. 2, lett. a), GDPR, come del resto avviene con il touchscreen degli smartphone di ultima generazione.
SVILUPPO E FIDUCIA NELLA TECNOLOGIA. UNA NUOVA FINESTRA SUL MONDO FASHION?
Una ripresa a livello nazionale è stata segnata dal “Protocollo Condiviso del Settore Moda”, che Confindustria Moda ha firmato con le organizzazioni sindacali di categoria Femca-Cisl, Filctem-Cgil e Uiltec-Uil lo scorso 16 aprile. Tale Protocollo definisce le modalità per la ripresa dell’attività nelle imprese dei settori Tessile, Moda e Accessorio, con l’obiettivo di “coniugare il valore primario della salute e della sicurezza del lavoro – attraverso adeguati livelli di protezione – con la tutela economica dell’assetto produttivo italiano”.
È bene, però, tenere conto del notevole potenziale che la tecnologia sta rivestendo all’interno di questo settore. Dalla disamina sopra proposta, infatti, si è valutato come, nel far fronte agli imprevisti posti dall’emergenza pandemica, l’industria fashion ha trovato un’alternativa da cui ha estrapolato delle idee innovative per virare verso una digitalizzazione del settore, non riducendosi ad una mera attività “in streaming”, bensì offrendo al cliente una vera e propria esperienza sensoriale, grazie alla quale il legame con il brand risulta solo rafforzato. Si tratta di un cambio di rotta a cui si sta tendendo già da prima della crisi, attraverso quello che è stato definito marketing sensoriale. Certo, la digitalizzazione dell’attività imprenditoriale pretende una maggiore attenzione alle implicazioni privacy che possono derivare a svantaggio dell’utente. Tuttavia, a parere di chi scrive queste innovazioni si possono accogliere solamente con l’entusiasmo di una opportunità – che ha più le sembianze della soluzione – individuando nella tecnologia la risposta ideale agli imprevisti di indiscutibile rilievo.
avv. Valeria Quadranti