L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE NEL PRINCIPIO DI ACCOUNTABILITY
Responsabilizzazione e rendicontazione sono concetti che, ben prima del regolamento UE 2016/679, mi riportano alla mente le parole di mia nonna in merito alla “perizia” nel fare le cose e alla “responsabilità” che si deve avere nel farle ma, soprattutto, nel farle bene. Già, perché “a farle in qualche modo”, continuava la nonna, son capaci tutti. Il problema è farle bene. Ed è così che, nel mezzo di un pomeriggio qualsiasi, come Paolo di Tarso, vengo fulminato sulla via per Damasco da un pensiero, forse banale, ma per nulla scontato: Il problema di fare le cose per bene.
Chi ben comincia è alla metà dell’opera.
In un mondo dove “tutti fanno tutto” e dicono di “saper fare tutto”, la formazione, quella di qualità, diviene cardine di molte cose, prima tra tutte: la sicurezza.
Sicurezza da intendersi nella sua più ampia accezione del termine. Parto quindi dalla consapevolezza che ho maturato nel corso di svariati anni di esperienza, sul campo, come docente. Spesso la formazione viene interpretata come una mera attività mandatoria a cui ottemperare per apporre una X ai vari to do annuali.
Questo è ben percepibile dalle espressioni dei numerosi Titolari, Responsabili e discenti incontrati nel corso del tempo. Eppure, per quanto la formazione possa sembrare (e talvolta è) un adempimento noioso, come la causa di sottrazione di risorse al business, ci si dimentica della sua funzione fondamentale che parte da concetti essenziali, seppur apparentemente ripetitivi: sapere, saper fare e saper essere.
Spostiamo dunque lo sguardo dalla luna e, per una volta, guardiamo solo il dito. Già, perché il problema risiede proprio nel dito.
Sapere, fare ed essere, in ambito formativo, sono concetti che risiedono tanto nella modalità quanto nello scopo della attività formativa, intesa come addestramento dei degli autorizzati a svolgere la mansione/incarico a loro affidata, con consapevolezza e non attraverso a comportamenti improvvisati che possono, in alcuni casi, per quanto eseguiti sul filo della ragione, risultare lesivi per l’azienda. Se intendiamo la formazione come una mera “modalità” (online o in aula), rischiamo di ometterne un dato essenziale, ossia che la figura dell’autorizzato, se non formata, è solo concepibile “a metà”.
Se invece guardassimo alla “qualità” della formazione come una forma di requisito, di rendicontazione, di guadagnata consapevolezza, comprenderemmo come essa possa costituire larga parte dell’attività del dipendente/collaboratore e per tale motivo non può essere né posticipata, né sottovalutata.
Troppo spesso, infatti, ci si perde in ore e ore di discussioni su quale sia il prodotto migliore per erogare la formazione, nella concezione della piattaforma più smart, nello studio di complicati orpelli informatici per rendere fruibile i test online o una correzione più veloce, invece di prestare la dovuta cura al contenuto e a come questo possa essere assimilato dal discente.
Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare. (Socrate)
Vi rechereste mai da un parrucchiere che non è in grado di fare una messa in piega?
Acquistereste mai dei prodotti da un commesso che non sa come gestire i pagamenti alla cassa?
Sebbene si tratta di esempi paradossali, l’idea è la medesima: un autorizzato al trattamento dei dati che non sa né perché, né come sta gestendo dei dati non può garantire un corretto svolgimento delle sue mansioni. E non sarà mai un semplice attestato di frequenza, guadagnato con un corso di due o più ore, a sostituire quel tassello mancante. Figuriamoci la compilazione di un test di dieci domande, scritte, in alcuni casi, con la cura e l’atteggiamento che aveva la mia maestra delle elementari nel pormi i quesiti.
Ho sempre ritenuto più importante il commento plenario delle risposte, al termine del test, che il mero risultato numerico nella sommatoria del punteggio. Cento o dieci, se il discente non ha assimilato i concetti, sono e rimangono solo dei numeri.
Senza inimicarmi nessuno, con le osservazioni di cui sopra, intendo spezzare nettamente una lancia a favore dell’attività formativa in aula (adesso si direbbe in presenza) attualmente svolta all’interno delle compagini aziendali. Nonostante l’avvento delle piattaforme di formazione, ritengo questa modalità l’unica, ancora utile, al fine di fugare eventuali dubbi che una slide o un filmato non colmano e che, contrariamente, non viene per nulla garantita dalla formazione e-learning.
Ebbene, se la formazione e-learning è venuta in soccorso alle difficoltà poste dal periodo di lockdown, tuttavia non bisogna dimenticare un elemento fondamentale dell’attività formativa, ossia l’interazione con il docente. Per carità, può esserci la possibilità di una formazione non frontale ma non deve mancare l’interazione diretta tra discente e docente, un valore aggiunto dato dal consulente, la cui carenza ingigantisce i dubbi con la conseguente impossibilità per il discente di porre domande.
Ci viene in aiuto il form del webinar che, ahinoi, porta con sé altre problematiche come la poca attenzione posta del discente (quasi nulla nel caso dell’e-learning), le continue distrazioni mentre si ascolta (il più delle volte si lavora mentre si segue la lezione) e altre brutte abitudini che, anche in questo caso, riducono sensibilmente il grado di assimilazione dei contenuti che, seppur di qualità, trovano un canale di trasmissione troppo fragile.
In aula il rapporto è diretto. Il docente ti guarda. Capisce cosa stai pensando dalla tua prossemica, ti sprona a far la domanda che, per timidezza o altro, si dipinge sul volto e sembra faticare a uscire. Il tutto potrebbe essere riassunto nel concetto di trattare la formazione con la stessa cura con la quale l’azienda vende un prodotto o un servizio al cliente. Con la stessa diponibilità, qualità e, cosa più importante, con la stessa energia con la quale, in tempi di employer branding, vendiamo la nostra azienda ad un cliente.
Solo in tal modo, infatti, si potrebbe garantire una formazione nel vero senso della parola, attraverso una concezione della medesima come parte integrante dei valori e dell’organizzazione aziendale, ossia: formazione come misura di sicurezza: specifica e calata nella realtà di ogni azienda.
Ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa.
La formazione va intesa come un utile strumento, il primo screening nell’analisi delle problematiche aziendali. Questo, in ambito GDPR, ad esempio, nel pieno rispetto del principio di accountability, secondo cui la gestione di un’azienda presuppone una valutazione anche dei suoi “strumenti” e, anche se con un po’ di riluttanza nell’affermarlo, il dipendete, l’autorizzato o il lavoratore, sono il primo e il più importante “strumento” di un’azienda.
La formazione quindi ci dà un’idea di quella che è la percezione dell’azienda dall’esterno o dall’interno, nel caso di dipendenti da tempo in forza. Attraverso l’analisi delle domande proposte, degli interesse dei dipendenti, dell’impegno della azienda, il consulente/docente può, se opportunamente coadiuvato dalla stessa, operare una prima e importante valutazione dei rischi latenti presenti in procedure, processi o dinamiche lavorative.
Riassumendo. Cosa serve dunque per una buona formazione di qualità?
- impegno formativo dell’azienda;
- impegno formativo dei docenti;
- impegno formativo dei discenti.
La formazione costituisce senza dubbio la punta dell’iceberg per l’individuazione del problema, se non c’è coscienza e conoscenza non c’è neanche attenzione e previsione nei confronti di eventuali rischi e problemi che, se latenti, possono palesarsi nel momento sbagliato. Se è necessario per i soggetti formatori proporre un’attività formativa tarata non solo sulle esigenze dell’azienda, bensì completa di tutti quegli elementi volti a trasmettere al lavoratore una conoscenza esaustiva del problema, è altresì fondamentale la disponibilità e l’interesse dei soggetti formati, i quali, nel pieno dell’attività lavorativa, saranno i primi ad essere “messi alla prova” nel rispetto e nella compliance delle regole.
Non da ultimo, è necessario tracciare l’avvenuta formazione, specificando i soggetti formati, la loro mansione ed il contenuto dell’attività formativa. Solo in tal modo si potrebbe garantire l’erogazione di una formazione nel vero senso del significato, in pieno rispetto del principio di accountability: si ricordi, infatti, che la responsabilizzazione richiesta al Titolare del trattamento implica l’adozione di quanto necessario per assicurare un’adeguata compliance al GDPR e ai suoi principi fondamentali. E, prima ancora che affidarsi a procedure e misure tecniche ed organizzative, sarebbe necessario investire sulla conoscenza-coscienza dei soggetti che in quell’organizzazione operano e vivono, contribuendo ad arricchire il loro bagaglio formativo finalizzato ad una consapevole prestazione lavorativa.
Un’ ultima cosa. Al prossimo corso che farete, portate al vostro docente un regalo. Non serve molto, basta un semplice sorriso. Chi ben comincia è alla metà dell’opera.
Guerrino Pescali