BREVE STORIA DISTOPICA DI UN CIECO, CHE PARLA A UN SORDO, CHE PARLA AD UN UOMO CHE NON VUOL CAPIRE.
Prologo.
Partiamo da una considerazione che ha presto assunto i toni della normalità: tra le caratteristiche elencate dalle Linee Guida della Commissione Europea di recente pubblicazione per le app di tracciamento abbiamo, tra le altre, la – non poco discussa – volontarietà di scaricarla.
Peraltro, in questi giorni l’app proposta dal governo olandese, “Covid19 Alert!”, ha subito una rilevante esposizione dei dati, dando vita ad una prevedibile databreach: per cause tuttora sconosciute, ma con ogni probabilità riconducibili alla fretta nel mettere in pratica l’applicazione, un rilevante numero di dati sono stati resi pubblici.
Capitolo primo.
La fretta – “Chi ha pazienza può ottenere ciò che vuole” – (B. Franklin)
È proprio dalla – a quanto pare – impellente esigenza di creare la fantomatica app di tracciamento che sta investendo i Paesi maggiormente colpiti dal virus come un’ondata non del tutto inaspettata, che voglio muovere la seguente analisi, e mi perdonerete se mi avvarrò di un breve racconto, nella vana speranza che non muti in una (malaugurata) realtà. Da una carrellata di informazioni recepite dal colloquio con colleghi, con parenti, con condomini, ho elaborato la curiosa teoria per cui, ai tempi della pandemia, la popolazione si suddivide in tre principali macro aree.
C’è il cieco. C’è il sordo. C’è l’uomo che non vuole capire.
Il cieco, per definizione, è colui che non può (o, peggio ancora, non vuole) vedere quello che sta accadendo attorno a lui. Nonostante le avvisaglie, la sua certezza è solo una: l’applicazione serve, anzi è essenziale, anzi ci farà uscire dalla quarantena (sia fisica che mentale). Qualsiasi cosa gli propinino lui la incanala “perché è tecnologia e con i paletti privacy non possiamo controllare il virus”. Ma cosa comporta essere ciechi?
- ha già installato l’app della Regione di provenienza o di domicilio, ovviamente dando per scontata la lettura dell’informativa: lo fa “perché è giusto farlo”;
- installerà la app Immuni, su base – ovviamente – volontaria, aggiornandola quotidianamente con i dati necessari, allo scopo di solidarietà collettiva (che poi, che vorrà mai significare?);
- adempie a qualsiasi dovere morale per contribuire, accantonato – o, addirittura, non considerato – il timore di un pericolo concreto ed effettivo di intaccare la propria privacy, privilegiando da buon patriottico/regionalista quale è quel senso di buon cittadino caldeggiato dal Governo italiano.
In antitesi apparente con il cieco, il sordo – altrimenti definibile come “il negazionista” – è colui che, nonostante i moniti, le raccomandazioni da televisione, radio, social, quotidiani (rigorosamente online), non vuole sentire quanto gli esperti dicono, ritiene le app fallevoli e nel frattempo nega tutto, nega il virus, nega il numero di contagiati, nega la possibilità di essere contagiato: in poche parole, non ascolta.
Infine c’è lui, l’uomo che non vuol capire, che non immagina – o pretende di non immaginare – che il futuro cambierà e non si tornerà facilmente alla realtà. Per lui, il lockdown è soltanto una “parentesi di una mezz’ora” (per citare un noto cantautore emiliano-romagnolo), una mera fase precauzionale fatta di mascherine e distanziamento sociale, elementi che nella fase due saranno superflui, solo per gli esaltati e i paranoici che, in quanto tali, sono più predisposti di lui ad attirare il virus. L’uomo che non vuole capire ha già prenotato vacanze, ristoranti per festeggiare la liberazione e, perché no, un affollato aperitivo sui Navigli milanesi con buffet alla mercé di sconosciute mani indiscrete. È un ottimista, tutto sommato. Lui installerà l’app, perché tanto il suo telefono ha 128 giga di memoria, e ne compilerà il questionario uno, massimo due volte. Tanto poi passerà di moda. Come il virus.
Alzi la mano chi, almeno una volta, magari solo per una semplice e singola frazione di secondo all’inizio di questa “infodemia”, non ha rivestito le fattezze di uno dei soggetti sopra elencati. Chi non la alza, sta mentendo.
Capitolo secondo.
La confusione – “Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche.” – (J.P. Sartre)
Se da una parte si dà per scontato che l’esagerazione dei punti di vista sia dovuti ad ignoranza e disinformazione, dall’altro lato la moltitudine di opinioni, più o meno accreditate, è causata da una sostanziale frammentarietà normativa e provvedimentale che ha infettato il nostro Paese. Da comune a comune. Da regione a regione. Da stanza a stanza. Da videoconferenza stampa a videoconferenza stampa.
Peraltro, detta frammentarietà è stata ulteriormente integrata dalla più recente novità dell’app Immuni, approvata dal Governo italiano il 16 aprile scorso, accolta come parziale soluzione ai problemi (la maggior parte dei quali ancora non risolti) relativi alla gestione della fantomatica fase due.
Ebbene, a Voi non sarà sconosciuta la circostanza per cui una delle caratteristiche fondamentali dell’app Immuni è proprio la conclamata (non senza poche polemiche) volontarietà nell’avvalersi della medesima, in ossequio tra l’altro alle Linee Guida della Commissione Europea. Il cittadino, infatti, potrà decidere senza alcun vincolo di scaricare Immuni, di aggiornarla inserendo il proprio stato di salute, di attivare l’applicazione a 360 gradi al fine di individuare soggetti presumibilmente positivi e/o essere individuato come tale.
Mi consentirete, tuttavia, di illustrarvi una mia perplessità: e se l’applicazione di tracciamento dovesse rappresentare un ulteriore tassello che compone la frammentarietà sopra descritta, invece che una più generalizzata, e non definita, soluzione ad una serie indefinita di questioni?
Partendo proprio dalla volontarietà, non sarò l’unico – né, tanto meno, l’ultimo – a sostenerne la relatività della pretesa. Il cittadino è libero di scaricare l’applicazione, perché, in quanto individuo, spetta a lui medesimo la decisione ultima; tuttavia, il Governo esorta fortemente la sua popolazione a farlo, non solo in virtù di un non meglio definito senso civico, ma anche – e non secondariamente – per contribuire a rendere la funzionalità dell’app effettiva ed efficace, raggiungendo l’auspicato 60 per cento della popolazione.
Ebbene, ferme le plurime considerazioni legali e tecniche che hanno ricoperto le pagine dei quotidiani negli ultimi giorni, mi si permetta di muovere una considerazione anzitutto pratica e di convenienza: sia che decida di avvalersi dell’app o meno, il cittadino rischia di trovarsi intrappolato in ambo i casi. Rinunciando alla propria privacy da un lato, ponendosi in una posizione di isolamento – e non più distanziamento – dovuta alla refrattarietà nel “collaborare” con lo Stato, oppure scegliendo di scaricare l’app con l’inconsapevolezza di dove, come e per quanto tempo i propri dati vengano trattai, seppur anonimizzati. E quindi il cittadino si ritrova in mezzo a due fuochi: tutelare o tutelarsi?
In secondo luogo, è bene anche rilevare come questa evidente frammentarietà non riguardi solamente l’attuale attività politica – che, vista la contingenza dell’evento, appare per certi versi inevitabile – ma anche nella (poca) chiarezza circa le modalità di cooperazione “offerte” al cittadino. Nel caso della Lombardia, ad esempio, l’app AllertaLOM, esistente ben prima della pandemia, ha preteso di arrogarsi, nelle ultime settimane, anche la funzione ausiliaria della rilevazione statistica sul territorio lombardo dei sintomi. Anche a fondamento di questa applicazione sussiste la volontarietà (senza approfondire la questione relativa ai vari SMS dai toni velatamente minatori da parte della Regione che esorta l’utente pigro a scaricarla), sebbene la finalità appaia, a tratti, differente da quella che verrà lanciata a territorio nazionale.
Capitolo terzo.
Il futuro – Il miglior modo di predire il futuro è di crearlo. – (A. Lincoln)
È di pochi giorni fa la notizia secondo cui AllertaLOM sarà (potrebbe essere) integrata all’interno di Immuni, stravolgendo le finalità inserite all’interno dell’informativa dell’app regionale. AllertaLOM richiede compilazione di un questionario anonimo, al fine di fornire una fotografia istantanea della realtà territoriale dove circola il milione e 100mila utenti che l’hanno scaricata. Immuni, invece, ha la precipua finalità di tracciare i soggetti positivi al coronavirus e coloro con cui sono entrati a contatto. Se questa può risultare una soluzione pratica, che unisce due app dalle diverse finalità, offrendo quindi un servizio completo (al Governo) sulla tracciabilità e lo stato di salute di ciascun territorio – una soluzione ottimale, pertanto, direbbe il “cieco” – non può non allarmare la circostanza per cui in una commistione del genere si correrebbe il rischio di porre nell’obbligo l’utente di fornire una pluralità di (inutili) dati, andando indebitamente contro a tutti i principi decantati dal GDPR nello specifico, e dalla normativa privacy in generali.
Che ne sarebbe del principio di minimizzazione, di proporzionalità, di necessità? Molte sono le perplessità che investono non solo chi scrive, ma anche la maggior parte degli operatori del settore, che hanno ravvisato un pericolo al rispetto della privacy del cittadino, a vantaggio di finalità non ancora del tutto chiare.
La mancanza di chiarezza, del resto, risiede non solo nella frammentarietà tecnico-normativa delle disposizioni governative, ma anche nella totale inconsapevolezza di quello che sarà il futuro, di come ognuno di noi dovrà comportarsi.
La riflessione, che assume le vesti di un racconto dalle sfumature distopiche, mi porta ad una serie di domande a cui, tuttavia, sarà arduo trovare una risposta unica e certa: siamo sicuri che questi applicativi, nati in fretta e furia per giustificare qualcosa che sappiamo tutti essere già avvenuto dal momento che già si è avuta la possibilità di tracciare gli italiani, rappresenteranno una “valida” soluzione? Che finalità hanno avuto quei tracciamenti avvenuti tramite l’utilizzo del numero di telefono e dei dati forniti da Facebook? È quindi davvero necessaria l’app Immuni per poter tracciare gli spostamenti o è solo finalizzata a legalizzare un tracciamento prima non legalizzato?
Epilogo.
Come nel più tipico spirito dei romanzi dalla vena politico-noir, dovremo aspettare fino all’ultima pagina per capire il disegno completo della trama e il ruolo di tutte le pedine sulla scacchiera. Spero, almeno in questa occasione, di poter arrivare all’ultima pagina senza colpi di scena.
Mi chiedo solo se il sacrificio della tutela e della protezione dei dati non sia troppo alto rispetto alla necessità collettiva di salvaguardare la propria salute e l’esigenza di un “ritorno alla normalità”.
Già si è avuto il beneplacito del Governo nei confronti dei soggetti di cui all’art. 14, d.l. n. 14 del 9 marzo 2020 (“Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza COVID-19”) di effettuare trattamenti di dati personali anche relativi agli articoli 9 e 10 GDPR che risultino necessari all’espletamento delle funzioni attribuitegli nell’ambito dell’emergenza determinata dal diffondersi del COVID-19. Norma che ha fatto discutere, data, tra le altre, la mancata specificazione di misure di salvaguardia volte a far fronte a quello che è a tutti gli effetti un trattamento illimitato di dati.
Tutto questo, sino al termine dello stato di emergenza.
Guerrino Pescali